Che cosa rende così indimenticabili le imprese dei ciclisti italiani al Tour de France?
La Grande Boucle è da sempre la corsa ciclistica più ambita, l'evento sportivo secondo come popolarità solo a Olimpiadi e Mondiali di calcio.
Ma c'è di più.
Da sempre, il Tour de France è per noi quasi il contrario del Giro d'Italia: se questo è una grande festa di paese, il Tour è invece una spedizione in terra straniera, dove si parla un'altra lingua, dove i paesaggi, le montagne, le strade e il cibo sono diversi.
Dove il pubblico, spesso, è stato ostile o quantomeno poco amichevole nei confronti di questi "italiani in gita".
Se a tutto questo aggiungiamo l'antica rivalità tra italiani e francesi - al suo acme quando al Tour partecipavano squadre nazionali (dagli anni '30 ai '60) - è evidente perché una maglia gialla può valere una carriera.
Come i migranti italiani che andavano nelle Americhe a cercare fortuna con la valigia di cartone, i nostri ciclisti sono sempre partiti alla volta del Tour come per un grande viaggio, dagli esiti talvolta gloriosi, talvolta amari, ma sempre colorati delle tinte dell'epica: polvere, visi rigati dal vento, storie di povertà riscattata e ostinazione, in cerca di un sogno.